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Business Continuity in cloud: come progettare la resilienza

Kirey

  

    La migrazione verso il cloud viene spesso accompagnata dalla promessa implicita di continuità operativa. L'infrastruttura cloud, nativamente distribuita e scalabile, può infatti offrire livelli di disponibilità e affidabilità che superano le implementazioni tradizionali, ma la resilienza vera e propria resta il frutto di scelte progettuali e di una governance attenta. 

    In questo articolo, affrontiamo il tema della progettazione della business continuity in cloud, identificando i fattori architetturali, organizzativi e operativi che ne determinano il successo.  

    Business Continuity in cloud: servizio o modello progettuale 

    La business continuity in cloud si può affrontare seguendo due strade complementari. La prima punta ad affiancare al proprio modello architetturale IT dei servizi pronti all'uso erogati dai vari cloud provider: backup-as-a-service, disaster recovery-as-a-service, alta disponibilità automatica, replica automatica dei dati e molto altro. È un approccio che esternalizza la resilienza, consumandola come un tipico servizio cloud. Il vantaggio è immediato: anche organizzazioni meno mature sotto il profilo digitale possono accedere a livelli di protezione sofisticati, quegli stessi livelli di protezione che fino a ieri imponevano alle aziende di realizzare (spesso, costruire) un disaster recovery site a centinaia di chilometri di distanza dal proprio data center, con tutti i costi e le complessità operative del caso. 

    La seconda strada è più ambiziosa e integrata nel percorso di cloud transformation. L’idea è di progettare l'intera infrastruttura IT (cloud-based) con la resilienza come principio fondante, integrato dalle fondamenta (by-design). Parliamo dunque di deployment distribuiti su più zone o regioni geografiche, di modelli ibridi dove workload, dati e applicazioni vengono replicati e spostati dinamicamente tra diverse infrastrutture, fino ad architetture multi-cloud capaci di assorbire criticità diffuse di interi provider. 

    Questa seconda filosofia, pur richiedendo maggiori investimenti e competenze, integra la continuità operativa nel DNA tecnologico aziendale. Il controllo resta interno, la dipendenza da singoli fornitori si riduce. La resilienza non è più un’azione applicata a posteriori sull’ecosistema IT esistente, ma il pilastro su cui poggia la (nuova) architettura cloud dell’organizzazione.

    Come progettare la Business Continuity nel cloud 

    Progettare la business continuity nell’era del cloud richiede un approccio a più dimensioni, che coniughi cioè aspetti architetturali, organizzativi e operativi. La disponibilità di risorse distribuite, servizi gestiti e automazione offre opportunità per costruire ecosistemi IT molto resilienti, ma impone anche una pianificazione accurata. Di seguito, i principali fattori da considerare. 

    Le fondamenta strategiche: risk assessment e business impact analysis

    La progettazione di un’architettura cloud resiliente parte da una valutazione del rischio e dell’impatto sui processi aziendali. Si tratta di attività essenziali, che rappresentano la base per una strategia efficace di continuità operativa.  

    Il risk assessment identifica e classifica gli scenari in grado di creare discontinuità – dal guasto hardware ai disastri naturali, fino all’errore umano – valutando la probabilità che si verifichino in funzione del contesto specifico dell’organizzazione. 

    Contestualmente, la business impact analysis (BIA) traduce questi scenari in termini economici e operativi. Determina, ad esempio, il costo orario dell’interruzione di ciascun processo critico e i tempi massimi di downtime accettabili. Queste analisi forniscono le metriche e le priorità su cui costruire le decisioni successive, a partire dal Business Continuity Plan (BCP).

    Creazione del Business Continuity Plan  

    Il Business Continuity Plan è il documento strategico e operativo che traduce l’analisi svolta in azioni concrete per garantire la continuità dei servizi in caso di crisi. Il piano coordina gli aspetti tecnici, organizzativi e procedurali affinché la resilienza sia effettiva e concreta. 

    Tra i suoi elementi cardine vi sono le modalità di risposta agli incidenti, i ruoli e le responsabilità operative, i flussi decisionali in emergenza e le risorse – tecnologiche e umane – necessarie per il ripristino dell’operatività. Sotto il profilo tecnico, nel piano di continuità operativa vengono definiti parametri fondamentali come RPO (Recovery Point Objective) e RTO (Recovery Time Objective), che riflettono le soglie di tolleranza dell’organizzazione rispetto alla perdita di dati e all’interruzione dei propri servizi. 

    Disegnare l’infrastruttura cloud con resilienza built-in 

    La continuità del business si costruisce con processi e servizi dedicati, ma poggia innanzitutto su un’infrastruttura pensata per resistere agli eventi disruptive 

    Costruire un’infrastruttura resiliente significa identificare i point of failure e rimuoverli o mitigarli attraverso meccanismi di ridondanza, isolamento e distribuzione geografica delle risorse. Le piattaforme cloud offrono strumenti nativi per la replica dei dati e dei workload su più regioni o Availability Zone, permettendo così un failover rapido e automatico in caso di disservizio.  

    Per essere (estremamente) efficace, la resilienza deve essere però pensata a più livelli. Un elemento determinante in tal senso, cui peraltro abbiamo già fatto cenno, è l’adozione di modelli multi-cloud o ibridi, che consentono di distribuire applicazioni e dati tra ambienti eterogenei, riducendo di fatto il rischio. Inoltre, bisogna coinvolgere anche il livello applicativo: architetture basate su microservizi e orchestrazione, nonché su componenti disaccoppiati, permettono al sistema di continuare a funzionare, almeno parzialmente, anche in presenza di errori o anomalie locali. 

    Adottare soluzioni dedicate, come BaaS e DRaaS 

    Accanto al design architetturale, un ulteriore pilastro della business continuity in cloud sono le soluzioni dedicate dei vari provider, che non sostituiscono una progettazione accurata ma la integrano, permettendo di implementare rapidamente funzionalità come il backup, il disaster recovery e la replica geografica, con livelli di affidabilità e scalabilità difficilmente replicabili in ambienti on-premise.  

    Tra le soluzioni più diffuse, rientrano senza dubbio i servizi di Backup as a Service (BaaS), che consentono di automatizzare la protezione dei dati, definendo policy granulari per la frequenza delle copie, la conservazione nel tempo e la cifratura. Altrettanto centrale è il Disaster Recovery as a Service (DRaaS), che abilita la replica continua o periodica dei dati e workload critici su siti secondari pronti a subentrare automaticamente. Qui il vantaggio, soprattutto per aziende con budget limitati, è enorme, visto che il modello as-a-service permette di accedere a infrastrutture di livello enterprise senza dover sostenere gli investimenti iniziali.

    Sfruttare al massimo l’automazione 

    Nell'ambito della business continuity, la capacità di rilevare, isolare e rispondere automaticamente a un'interruzione rappresenta un elemento chiave delle soluzioni più evolute.  

    Il motivo è semplice: la complessità crescente degli ambienti distribuiti e multicloud. Gestire manualmente ecosistemi che si estendono su più provider, zone geografiche e tipologie di servizi diventa quasi impraticabile, e l’automazione è l'unico modo per mantenere il controllo. Per esempio, l'automazione garantisce che aggiornamenti e policy di backup vengano gestite in modo uniforme in tutta l’infrastruttura, e può anche verificare l'esecuzione dei backup periodici e segnalare anomalie meritevoli di attenzione.  

    Il valore più significativo affiora durante le emergenze. Quando ogni secondo conta, i sistemi automatizzati reagiscono istantaneamente: possono attivare le risorse di backup, reindirizzare il traffico verso nodi funzionanti, scalare automaticamente i workload in ambienti sicuri, avviare procedure di failover preconfigurate e ripristinare configurazioni ottimali senza intervento umano. In questo modo, l’automazione riduce al minimo i tempi di inattività, limita l’errore umano e garantisce una risposta coerente e tempestiva anche agli scenari più critici. 

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