In un mercato in continua espansione, il tema dell’ottimizzazione del cloud (cloud optimization) è sempre più centrale. Secondo lo State of cloud usage optimization 2024 di Stacklet, il 78% delle aziende spreca una quota compresa tra il 21% e il 50% della propria spesa in risorse cloud, cosa che evidenzia enormi margini di miglioramento. Il dato è molto rilevante se consideriamo che - come detto - il mercato cloud continua a crescere: secondo Gartner, la spesa globale per i servizi di public cloud passerà dai 595,7 miliardi di dollari del 2024 ai 723,4 miliardi del 2025.
L’ottimizzazione cloud non si limita però alla riduzione dei costi. Perseguire una gestione efficace significa adottare un approccio integrato che ottimizzi l’allocazione delle risorse cloud a 360 gradi, potenziando non solo la cost efficiency ma anche la scalabilità, l’affidabilità, la resilienza, la sicurezza e le performance. Ed è proprio qui che entra in gioco il concetto di cloud optimization.
Secondo la definizione di IBM, la cloud optimization si sostanzia nell’allineare “il provisioning delle risorse cloud con le richieste in tempo reale di applicazioni e workload, al fine di trovare un equilibrio tra esigenze di prestazioni, conformità ed efficienza”.
L’esigenza di ottimizzare il cloud nasce dalla crescente complessità di ambienti sempre più orientati verso modelli ibridi e multicloud. Questi approcci promettono infatti flessibilità e scalabilità senza precedenti, ma al tempo stesso rendono la gestione delle risorse un processo difficile da governare senza una strategia e strumenti dedicati. A complicare ulteriormente il quadro, poi, interviene la frammentazione delle iniziative cloud all’interno delle grandi organizzazioni, laddove divisioni esterne all’IT avviano progetti indipendenti e acquisiscono risorse cloud in modo scollegato dalle strategie centrali.
Alla fine, il rischio è duplice: da un lato, mantenere risorse sovradimensionate comporta costi elevati per capacità inutilizzate, erodendo il budget IT senza un reale ritorno in termini di performance; dall’altro, non allocare risorse sufficienti ai workload critici significa compromettere le prestazioni operative, con tempi di risposta rallentati, interruzioni nei servizi e un’esperienza utente insoddisfacente.
A livello concettuale, l’ottimizzazione del cloud si concentra spesso sulla riduzione dei costi, ma come detto dovrebbe in realtà creare un equilibrio tra i fattori chiave delle performance, della sicurezza, della disponibilità e della scalabilità. È quindi fondamentale adottare un approccio integrato, fondato su (almeno) tre pilastri.
Ottimizzare i costi non significa spendere di meno, ma investire in modo consapevole e proporzionato alle esigenze dei workload in cloud. Gestire il budget è, peraltro, un processo dinamico, poiché le aziende evolvono e con esse cambiano fattori determinanti come, appunto, il consumo di risorse infrastrutturali (compute, storage e rete).
Il primo aspetto è la consapevolezza. Bisogna conoscere e monitorare le proprie spese cloud, comprendendo quali servizi si stanno pagando e perché; è poi possibile adottare strumenti automatizzati che associno il provisioning delle risorse alla domanda reale delle applicazioni. In questo modo, viene meno il rischio di overprovisioning, una pratica che il cloud avrebbe dovuto abbattere rispetto al modello on-premise, ma che per molte organizzazioni resta una criticità.
Esistono diverse strategie per ottimizzare i costi cloud, tra cui:
In ottica di performance, il primo passo è la visibilità costante sulle applicazioni e le risorse cloud in uso. Le aziende possono fare affidamento su tool di cloud management che, grazie anche all’intelligenza artificiale, monitorano in tempo reale parametri chiave come l’utilizzo della CPU, lo storage e la latenza di rete.
La visibilità, tuttavia, è solo il punto di partenza. Una volta compresi i punti critici, le aziende possono adottare strategie avanzate come il bilanciamento del carico tra i server e il caching, particolarmente efficaci poiché ridistribuiscono il traffico in modo da evitare sovraccarichi e memorizzano i dati più richiesti, riducendo i tempi di accesso.
Un’altra leva strategica è l’auto-scaling delle risorse, che consente di adeguare dinamicamente la capacità dei server in base alla domanda reale, evitando così sia l’overprovisioning che i rallentamenti legati a carenze di risorse nei momenti di picco.
Parallelamente, le aziende che vogliono ottenere il massimo dal cloud dovrebbero considerare la modernizzazione applicativa verso un’architettura cloud native. Adottare processi DevOps, supportati da pratiche come l’Infrastructure as Code (IaC), consente di sviluppare, testare e implementare applicazioni in modo agile, garantendo al contempo un utilizzo ottimale delle risorse.
L’ottimizzazione del cloud non può prescindere da un approccio che metta la sicurezza al centro. Ridurre i costi e ottimizzare le risorse senza considerare le implicazioni sulla security equivale infatti a esporsi a rischi molto elevati sia in chiave finanziaria che reputazionale e di compliance.
Nell’era del cloud, è essenziale adottare misure di sicurezza che proteggano dati e asset aziendali in modo integrato e proattivo. Parliamo di policy di accesso rigorose, cifratura continua dei dati, monitoraggio delle anomalie comportamentali, ma anche di un approccio che integri la sicurezza lungo tutto il ciclo di vita del software, rendendola parte integrante del processo di sviluppo anziché un’aggiunta successiva. È proprio su questa linea che si inserisce il modello DevSecOps, che punta a unire sviluppo, operatività e sicurezza in un unico flusso di lavoro, automatizzando i controlli e riducendo al minimo le vulnerabilità.