Espressioni come sovranità digitale, cloud sovrano o sovereign cloud sono ormai entrate stabilmente nel vocabolario di chi si occupa di trasformazione digitale e di governance dei dati. Complici una crescente instabilità geopolitica e una forte accelerazione normativa a livello europeo (tra GDPR, DORA, NIS 2 e AI Act), il tema è diventato centrale tanto per le imprese quanto per le PA.
Il motivo è semplice: il cloud nasce come infrastruttura globale, progettata e sviluppata dai grandi hyperscaler internazionali. La sua vocazione worldwide offre indubbi vantaggi in termini di scalabilità e disponibilità dei servizi, ma solleva anche interrogativi complessi legati alla trasmissione, al controllo e alla giurisdizione dei dati.
L’infrastruttura cloud può essere unica e distribuita su scala mondiale, ma le leggi che definiscono la governance, la sicurezza e i diritti sottostanti non sono uniformi: ogni Paese applica regole diverse, talvolta in contrasto tra loro. Qualcuno ricorderà, a tal proposito, il Datagate del 2013, che portò alla luce programmi di sorveglianza dall'Agenzia per la Sicurezza Nazionale statunitense su dati conservati anche al di fuori degli USA, un esempio emblematico di come la giurisdizione d’origine di un provider possa incidere sull’accesso alle informazioni, indipendentemente dal luogo fisico in cui risiedono.
Ogni volta che un’azienda affida i propri dati a un’infrastruttura cloud gestita da un soggetto terzo, cede una porzione, sia pur minima, del controllo effettivo su quei dati, e questo vale a prescindere dalla robustezza contrattuale o tecnologica del servizio: è una conseguenza strutturale del modello as-a-service, che separa la titolarità del dato dalla gestione dell’infrastruttura sottostante.
Il titolare dei dati – una banca, una struttura sanitaria, un gruppo retail - è soggetto a un insieme complesso di leggi e regolamenti che impongono trasparenza, accountability e controllo non solo sul dato in sé, ma anche sulla sua localizzazione, sugli accessi, sulle modalità di trattamento e sulla possibilità di cancellazione.
Il concetto di sovranità digitale è nato da una crescente pressione normativa che ha messo al centro il tema del controllo giuridico e operativo sui dati. In Europa, e in Italia, sono diversi i riferimenti che hanno fatto emergere questa esigenza. Ne segnaliamo tre:
Tirando le somme, si potrebbe quindi definire la sovranità digitale come la capacità di un’organizzazione di mantenere il pieno controllo sui propri dati, sulle infrastrutture digitali che li ospitano e sulle tecnologie utilizzate, senza dipendere da soggetti esterni non allineati sotto il profilo giuridico, tecnologico o operativo. In altri termini, sovranità digitale è la capacità di decidere dove debbano risiedere i dati, chi possa accedervi, con quali strumenti e sotto quale giurisdizione, riducendo al minimo i rischi di conformità, le interferenze e le imposizioni esterne. La sovranità digitale si articola in tre pilastri interconnessi:
Sovranità digitale non significa cloud repatriation. Non implica, cioè, dover abbandonare gli investimenti già fatti né rinnegare il percorso di modernizzazione infrastrutturale costruito nel tempo. Il punto non è tornare indietro, ma inserire un nuovo elemento di consapevolezza nelle scelte strategiche e valutare caso per caso le implicazioni giuridiche, operative e tecnologiche legate alla gestione dei dati. Questo vale, in particolare, per le realtà meno strutturate, che talvolta affrontano la digitalizzazione senza un’adeguata valutazione dei rischi.
Dal punto di vista di un’azienda privata, sovranità digitale significa sapere a quali normative si è soggetti, essere in grado di distinguere tra dati critici e non critici, ed essere capaci di adottare soluzioni coerenti con tale scenario. Quali? Ecco quattro opzioni concrete.
Il cloud ibrido consente di combinare la scalabilità del cloud pubblico con il controllo del cloud privato, permettendo alle aziende di separare i dati critici da quelli meno sensibili. È una soluzione flessibile e strategica, anche se più complessa da progettare e gestire: sono infatti necessarie competenze architetturali e un governo accurato dei flussi di dati. In alternativa, un cloud privato localizzato può rappresentare una scelta adeguata per aziende con esigenze di sovranità più marcate.
Un elemento chiave della sovranità digitale è la localizzazione (fisica e giuridica) dei dati, ovvero delle infrastrutture cloud. Affidarsi a provider che dispongono di data center e strutture operative in Italia o in Europa è una condizione importante per garantire la conformità a un corpus normativo in continua crescita ed evoluzione. Anche una strategia di cloud mix può essere vincente: ad esempio, mantenere in Europa i dati soggetti a vincoli stringenti e delegare al cloud globale solo quelli meno sensibili. Si ricade quindi nelle fattispecie multi-cloud, di adozione sempre più frequente.
La sovranità tecnologica si costruisce anche riducendo la dipendenza da fornitori proprietari. Come anticipato, adottare soluzioni open source e basate su standard aperti aiuta a mitigare il rischio di vendor lock-in, a facilitare l’interoperabilità tra ambienti diversi e a mantenere il controllo sulle evoluzioni future della piattaforma.
Anche l’infrastruttura più localizzata può essere vulnerabile se non protetta da policy di accesso solide, sistemi di autenticazione multifattore, crittografia dei dati e monitoraggio continuo degli eventi di sicurezza. La sovranità digitale passa anche per la cyber resilienza, intesa come capacità di proteggere, rilevare e rispondere efficacemente agli incidenti. In questo senso, un buon governo dell’identità digitale (IAM) e l’adozione di un approccio di security by design sono elementi imprescindibili.
In Kirey, accompagniamo le aziende in un cloud journey completamente personalizzato, costruito sulla base degli obiettivi di business, dello stato tecnologico di partenza e dei requisiti normativi applicabili.
All’interno di questo approccio, e in tutte le scelte che ne derivano, la sovranità digitale viene valutata con attenzione per fare in modo che le aziende massimizzino i benefici del cloud riducendone al minimo i rischi strutturali.
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