La trasformazione digitale conduce naturalmente all’automazione. Non solo per una comprensibile necessità di efficienza operativa, ma anche per ottimizzare i processi, per abbattere gli errori e per poter focalizzare le risorse umane verso ruoli e attività meno ripetitive e routinarie.
Negli ultimi anni, complice la straordinaria evoluzione tecnologica, al concetto classico di automazione si è affiancato quello di iperautomazione (hyperautomation), imponendosi come trend centrale nel mondo enterprise. Scopriamo di cosa si tratta e, soprattutto, come avviare un percorso di iperautomazione vincente in qualsiasi organizzazione.
Per definire correttamente il concetto di hyperautomation è necessario un po’ di contesto. Posto che l’automazione è intrinseca alla trasformazione digitale, le imprese si sono sempre concentrate sui processi, o meglio sulle fasi di processo, più ripetitive e basate su regole certe e (quasi) immutabili, a prescindere dalla loro complessità. In altri termini, l’automazione tradizionale è rule-based.
A livello tecnologico, da una decina d’anni l’attenzione dell’IT si è soffermata sulla Robotic Process Automation (RPA), che potremmo definire una tecnologia che imita e replica le azioni umane su sistemi e applicazioni. La RPA è stata (ed è) rivoluzionaria perché ha permesso a imprese di qualsiasi dimensione di automatizzare azioni e processi che coinvolgono sistemi diversi (es, posta elettronica, Excel, ERP, CRM…) senza obbligarle a lunghe e costose attività (tradizionali) di integrazione dei sistemi. Con un solo limite: RPA opera solo in ambiti, appunto, prevedibili e routinari, di cui peraltro le aziende sono ancora ricchissime.
Negli ultimi anni, si sta diffondendo il concetto di automazione intelligente. Il merito va all’evoluzione della data science e delle tecniche di intelligenza artificiale (soprattutto, Machine Learning), che forniscono alle macchine una capacità decisionale superiore rispetto alla mera esecuzione di regole predefinite.
La centralità del professionista non è a rischio, ma rispetto anche solo a cinque anni fa, i sistemi AI-based sono in grado di condizionare le decisioni e di prenderne di autonome, sia pur entro binari definiti dall’esperienza del professionista. Un esempio d’elezione riguarda la cyber security, le cui soluzioni più moderne forniscono ai professionisti uno scoring della probabilità di attacco, lasciando loro la decisione finale in qualsiasi caso di dubbio.
Un altro esempio di automazione intelligente, piuttosto lontano dal precedente, riguarda la gestione dei processi di fatturazione internazionale attiva e, soprattutto, passiva. Visto che ogni Stato ha le sue regole, i suoi formati e modelli, i professionisti delle aziende sono spessissimo alle prese con attività manuali di acquisizione di dati, di verifica delle conformità e di inserimento nei sistemi aziendali. In questi contesti, l’intelligenza artificiale può intervenire automatizzando l’estrazione delle informazioni dai documenti, riconoscendo i formati specifici di ogni Paese e verificando la correttezza rispetto alle normative locali. Tutto in forma automatica, sia pur (di solito) supervisionata.
In questo contesto, Gartner ha coniato qualche anno fa il termine Hyperautomation, definendolo un “approccio business-driven che le organizzazioni utilizzano per identificare, valutare e automatizzare rapidamente il maggior numero possibile di processi aziendali e IT”.
Hyperautomation è dunque un approccio, non una tecnologia. È in realtà la constatazione che tecniche e tecnologie come il machine learning, la robotic process automation, le piattaforme di integrazione iPaaS, le suite di gestione intelligente dei processi aziendali (iBPMS) e molte altre, possono operare in sinergia per “automatizzare rapidamente (e in modo smart, ndr) il maggior numero possibile di processi aziendali”. Con l’aggiunta di un approccio low-code o no-code, che di fatto democratizza l’iperautomazione rendendola appetibile anche al macrocosmo delle PMI.
Partendo ovviamente dalle realtà più grandi e strutturate, la tendenza verso l’hyperautomation ha attratto molti investimenti, al punto che il mercato è previsto in crescita con un tasso annuo composto del 16,5% fino al 2030.
Se la teoria di per sé non è complessa, integrare in azienda, o meglio adottare un approccio di hyperautomation è tutt’altro che banale. Come detto, non si tratta di un sistema o di una soluzione “chiavi in mano” configurabile in funzione delle specifiche esigenze, ma un mindset che richiede una solida visione strategica: occorre analizzare i processi esistenti, identificare quelli più critici, riprogettarli e sviluppare una soluzione che faccia perno sugli strumenti tecnologici più adatti, dall’RPA a tutto il macrocosmo di AI, ma senza dimenticare le piattaforme di integrazione as-a-service per una maggiore efficienza e un time to market ridotto.
Va messa in conto una certa complessità, perché le tecnologie che sorreggono questo paradigma evolvono rapidamente e richiedono competenze dedicate. È dunque essenziale coinvolgere team trasversali, integrare l’hyperautomation nella strategia aziendale e costruire un’architettura IT flessibile, capace di adattarsi a nuove esigenze e opportunità future. Un partner specializzato, che conosca perfettamente i processi del suo cliente, il contesto competitivo e normativo in cui opera, nonché tutto il panorama tecnologico sottostante, può realmente fare la differenza.
Abbiamo quindi identificato un percorso in 5 fasi, progettato per accompagnare le aziende nell’implementazione efficace e graduale di questo paradigma moderno. Questo approccio tiene conto della complessità dei processi e del cambiamento organizzativo portato dall’automazione avanzata.
Il primo step consiste solitamente nella mappatura accurata dei processi aziendali, al fine di identificare colli di bottiglia, inefficienze e attività fortemente ripetitive. In questa fase possono essere adottate metodologie tradizionali di analisi dei flussi di lavoro e/o tecnologie avanzate come il process mining, che forniscono una visione dettagliata dei processi reali, spesso differente da quella percepita.
Prima di implementare qualsiasi forma di automazione, è fondamentale ottimizzare i processi esistenti. La reingegnerizzazione mira a semplificare i flussi di lavoro e a creare una base solida per l’automazione, evitando che vengano semplicemente automatizzate inefficienze già presenti.
In questa fase va progettata e sviluppata una soluzione ad hoc, facendo leva su un ampio bagaglio tecnologico, tra cui RPA e tutto il macrocosmo dell’intelligenza artificiale. L’obiettivo è creare una sinergia tra le diverse tecnologie per ottenere flussi di lavoro intelligenti, scalabili e completamente integrati.
È consigliabile optare per un’implementazione graduale, partendo da progetti pilota. Successivamente, si passa all’integrazione con i sistemi esistenti, garantendo che tutti i processi automatizzati comunichino tra di loro senza creare ulteriore complessità.
Adottare un approccio di hyperautomation (e le relative soluzioni) può cambiare il modo in cui le persone lavorano. È quindi fondamentale coinvolgere i team fin dall’inizio, offrire formazione e supporto continuo e gestire le resistenze al cambiamento. Solo così è possibile trasformare l’automazione avanzata in un’opportunità condivisa e sostenibile per tutta l’organizzazione.